Ricordi quando t’assentavi e io cercavo Dio nella direzione del tuo sguardo?
Ricordi le analisi infinite per sviscerare gli strati velati del mondo e strapparci di dosso il silenzio?
Ho cercato nelle tasche dei miei pantaloni una speranza finale, una luce definitiva, un mistero letterale al quale credere. Non la sorpresa del vuoto che è sempre stato pieno di qualcos’altro di cui conoscevo il nome solo per metà.
Se chiudevo gli occhi mi allineavo alla tua traiettoria, mi scorrevano nel buio immagini oltre i finestrini in movimento, mi ritornavano alla mente gli orologi che hanno scandito, severi, il tempo da salvare. Mi basta girare il capo per ritrovare il punto in cui sono morto con te un giorno che ci siamo uccisi a vicenda ed eravamo già assolti. Già morti, in piedi sul marciapiede a contare le macchine nel limbo apatico tra una fuga e l'altra.
Non avevo mai capito che la morte non è ciò che va, ma ciò che resta. Perderti è stato come scalciare forte per risalire in superficie, come avere un attacco di panico per mesi: ti ho persa combattendo per non inspirare.
Cercavo Dio nella direzione del tuo sguardo, nel petto mi sono fioriti fiori selvatici un pomeriggio, quando l'ho trovato esattamente dov'è sempre stato: nei giochi d'ombra sul soffitto, a concepire il mio ritorno.