Ti mostri nelle schiene degli sconosciuti e dai potere ai ritorni, il più astratto dei concetti, la tua incapacità più grande.
Ti perdi i miei sorrisi complici a ciò che non sei, voltato di schiena intento ad andartene su linee d’orizzonti incessantemente visibili, autunno perenne. Meticoloso come i grani di un rosario, il pensiero del tempo senza di te mi appesantisce le palpebre perché sei trasmigrato nel sonno, nelle cose che dimentico e nella pietra viva di certe case che non hanno voluto crollare.
Oggi mi sento in dissonanza col mondo, non riconosco i miei mali ed è come se fossi smarrita in un bosco precario fino all’ultima foglia. Ho letto il tuo nome all’improvviso e prima che mi potessero schiacciare le conifere, per salvarmi ho fatto un salto dentro la paura di non trovarti. Sei rilegato nello spazio ostile del mio cervello allenato alla sopravvivenza e a un mucchio di altri precetti inutili e potenzialmente fatali: lì sconti la pena per esserti sottratto alla migliore, più vulnerabile, versione di me.