Tu: mi togli le mosche di dosso con i palmi uniti verso l’alto.
Tu: mi accarezzi impercettibilmente la testa
come se fosse la superficie limpidissima di un fiume molto calmo.
Io: fraintendibile da una vita, in punta di piedi su un lunghissimo filo del rasoio a trattenere secolari esigenze di perdono.
Io: quando sei in una delle altre stanze, ad ammaestrare i minuti, non esisto.
Se lascio la presa dal mio cervello, nello spazio tra i due emisferi si generano tsunami. Tue le mani, mie le preghiere di dimenticare la mia immagine riflessa, me da me.