Ogni tanto, quando mi spoglio, mi accorgo del mio seno nudo e mi ritrovo a pensare che poche bocche ne abbiano goduto. È un pensiero che mi intristisce e mi imbarazza. Non chiedermi come mai, con tutto quel lavoro terapeutico che hai fatto su te stessa per bastarti? oppure sei ancora qui, dopo tutti i libri appoggiati sul ventre sui quali ti sei rannicchiata come se fossero un fuoco fatuo e non hai più desiderato altri corpi? o perché ancora pensi alle poche bocche sul tuo seno? Non so perché mi intristisca ancora, se devo essere onesta anche io la considero una sconfitta.
Con le spalle basse, in una resa infantile, ritorno a certi vecchi giorni.
Non romanticizzo più cose ridondanti come le relazioni umane, ne scanso il pensiero con un'immensa stanchezza che prego non mi abbandoni mai. Se dovesse finire quest'agognata illusione, se dovessi precipitare di nuovo in un cascame perenne di convenzioni e insoddisfazioni torbide, potrei benissimo pensare di scomparire una volta per tutte.
Certe sere ondeggio nuda per toccare l'aria, mi mancano i corpi, poso i libri perché mi arrendo ai miei occhi stanchi. Non ti ho mai detto che adesso vivo la vita come se stessi guidando su una lunghissima strada extraurbana: vado, conscia dell'esistenza di brevi deviazioni. Spero non ritorni più il terrore livido di svegliarmi da sola, adesso che ho accettato i conti con la lentezza, il pensiero di star pagando qualche debito grosso con l'universo, l'arroganza che fingevo di non avere. Raduno tutte le sante al mio capezzale per chieder loro di poter scomparire dalla perfezione, rifuggire i traguardi del mondo, rannicchiarmi nello spazio stretto e meticoloso di una clessidra. Mi terrorizza tutto il resto, rifletto, mentre mi accarezzo un capezzolo sovrappensiero.