Quello che non ho scritto, quando le parole erano nemiche sadiche del mio tempo, ora scalcia e sa di sangue e lacrime e di gloriosi vagiti.
Mi paralizza parlare di vergogna, sentirmi un rompicapo trascurabile, persino inutile, lasciato ad attendere invano sull’ultimo gradino di una lunga scala.
Spesso ho alzato lo sguardo per guardare negli azzardi di tutto il potere che ho dato via, per un po’ di amore.
Questa è la vergogna: insulso precipizio sempre in agguato, fiori appassiti e rassegnazione. Di inettitudine delle cose piccole, di ogni fiato per dire tutto, sulle macerie delle ricadute.
Ora che i pomeriggi si dilatano minuziosamente nel giallo, ho occhi stanchi e senza fondo: guardo i pezzi di me che si volatilizzano inesorabili e lenti, penso all’espiazione ancora da scontare per il dono illimitato di due braccia che mi tengano insieme.